L’ombelico dello scandalo

«Raffaella Carrà, regina del così-così» in questo modo Maurizio Costanzo liquidò la giovane Raffaella Pelloni (in arte Carrà) da Bologna che, nel 1971, dal mese di ottobre, affianca Corrado in Canzonissima, varietà del sabato sera. È spigliata, snella, canta e balla: i responsabili Rai, dicono i maligni, l’hanno scelta per il suo modesto cachet. Gli ascolti le danno ragione e l’anno successivo la Carrà tira fuori le unghie. O meglio, l’ombelico. Lancia il Tuca-tuca, una canzone scritta da Gianni Boncompagni, allora suo compagno oltre che pigmalione, troppo sensuale per la Rai bacchettona dell’epoca. E infatti, dopo la prima puntata, si grida allo scandalo. La coreografia vede un uomo (Enzo Paolo Turchi) e una donna (la Carrà) uno di fronte all’altro che si toccano fronte, spalle, fianchi e caviglie. La Carrà, in tutina aderente con l’ombelico scoperto, canta: «Si chiama, Tuca-tuca, Tucaaa/l’ho inventato io/per poterti dire/mi piaci, mi piaci, mi piaci, mi piaaa…» E poi: «Ti voglio/ah, ah… Sembra impossibile ma sono pazza di te… ». Oltre l’ombelico messo in mostra, colpisce la parola Tuca-tuca, troppo simile a Tocca-tocca. Scoppia lo scandalo: la Rai riceve telefonate di spettatori indignati, e il balletto, alla terza puntata, è soppresso. I giornali parlano di censura e c’è chi lo richiede a gran voce. A risolvere tutto è Alberto Sordi che, alla quinta puntata, s’intestardisce e vuole ballare il Tuca-tuca con la Carrà  «altrimenti – dice – non vengo». La Rai è costretta al dietrofront. Durante il balletto, l’indice di ascolto è alle stelle e per la Carrà è la consacrazione.

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