L’ambasciatrice del design

È stata la macchina per scrivere più venduta, utilizzata e amata d’Italia. Progettata nel 1950 da Giuseppe Beccio e disegnata Marcello Nizzoli per la Olivetti, la Lettera 22 diventa presto l’amica insostituibile per grandi e piccoli scrittori. Forma semplice e minimalista, spigoli arrotondati, meccanica robusta, leggera e compatta, facile da trasportare (la prima custodia era di cartone, poi sostituita con una più elegante, in similpelle con cerniera) è il prototipo della macchina per scrivere portatile. Concepita mentre il Paese è impegnato nella ricostruzione post-bellica, è adottata soprattutto dai giornalisti, che ne apprezzano la leggerezza e la possibilità di appoggiarla verticalmente sul tavolo, in modo da far spazio sulla scrivania. Inoltre, per la sua semplicità, viene adottata dalle scuole di dattilografia che, in questo decennio, aprono in continuazione. Verso la fine degli anni Cinquanta, è venduta assieme a disco a 33 giri che contiene un corso per dattilografia, con un testo per gli esercizi di dettatura preparato dallo scrittore Mario Soldati. Nel 1959 la consacrazione definitiva: la Lettera 22 è eletta, da una giuria composta da 100 designer internazionali, miglior prodotto industriale degli ultimi 100 anni: grazie a questo riconoscimento, pochi anni dopo, l’Olivetti decide di esportarla negli Stati Uniti, contribuendo non poco a far nascere il mito del design italiano e alle fortune dell’azienda di Ivrea. Oggi Torino e Milano ricordano Olivetti: era il 29 ottobre 1908 quando Camillo Olivetti, padre di Antonio, costituì a Ivrea la Ing. C. Olivetti , prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere che, dagli anni Trenta in poi, ogni due anni, riesce a immettere sul mercato un modello nuovo ogni due anni. Negli anni Quaranta le redini dell’azienda passano ad Adriano e arrivano le telescriventi, poi le calcolatrici, le attrezzature per l’ufficio. Il mercato continua ad espandersi fino ai primi anni Cinquanta, quando si registra una crisi di sovrapproduzione: il direttore generale e quello del personale chiedono a Olivetti di licenziare 500 dipendenti; lui lascia a casa i due dirigenti e assume altre centinaia di dipendenti per far crescere le vendite. Una fabbrica unica nel panorama italiano: a fine anni Cinquanta è la prima a far scendere le ore di lavoro da 48 a 45; a introdurre la settimana lavorativa di soli cinque giorni; ad aprire – all’interno della fabbrica – asili, colonie, biblioteche. La fabbrica, per Olivetti, dev’essere propulsore di cultura. Adriano muore nel 1960 quando in azienda lavoravano oltre 35 mila dipendenti. Gli eredi non riescono a continuare l’opera del padre e del nonno; in società enrano così la Fiat, l’Imi, Mediobanca. Valletta, uomo Fiat, sale al comando: «L’azienda non va, l’elettronica non rende». E cominciano i tagli. Nel 1978 arriva De Benedetti che la ristruttura, lancia nuovi prodotti, i Pc e la telefonia cellulare con Omnitel. Poi si sono chiusi i battenti, ma la responsabilità non è di nessuno: «È del mercato». Sì, ciao. Oggi di seri capitalisti come gli Olivetti, indipendenti e geniali, non ce n’è nemmeno l’ombra.

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