Una ventina di anni fa, appena tornati, le vacanze si trasformavano subito in racconto e immagini, non si vedeva l’ora di descrivere le esperienze e le avventure – e disavventure – appena passate, i nuovi amici conosciuti. I più fortunati, parenti e amici del cuore, qualche anticipazione l’avevano avuta grazie a una cartolina, che si spediva a una cerchia ristretta di conoscenti. Oggi non è più così. Il filo ombelicale che WhatsApp e i vari social network ci legano indissolubilmente al nostro mondo affettivo, rende il distacco meno forte e tutto (a ben vedere, non solo le vacanze) molto meno romantico e avventuroso. Ti sei appena salutato e già ti mandano le foto di dove sono, cosa mangiano, cosa vedono, cosa fanno, dove dormono. I pochi che non lo fanno è perché sono in vacanza in mezzo all’oceano, nel centro dell’Africa o nel deserto australiano, dove il wifi latita ancora, per cui occorre attendere il loro rientro per sapere com’è andata e cos’hanno visto. E pensare che una volta tutti noi spedivamo lettere e cartoline. Ma oggi che senso ha impegnarsi nella ricerca di una cartolina da spedire agli amici e ai parenti, spendendo tempo e soldi, quando con pochi clic si può comunicare a tutto il mondo dove ci si trova? Che all’epoca c’erano cartoline e cartoline: quelle da poco, quelle poetiche, quelle con 10 foto in una e la scritta “Saluti da…”.
Le abbiamo lette, rilette, conservate, cercando i messaggi nascosti dietro ai puntini di sospensione e agli «smack!» con labbra disegnate.
La crisi della cartolina, quindi, non sembra da imputare alla “crisi economica”, ma più a una “crisi sociale” che sta colpendo un po’ tutti. I viaggiatori hanno perso l’abitudine di acquistare e spedire cartoline illustrate, ma hanno sempre forte l’esigenza di comunicare, restare in contatto con amici e parenti utilizzando sempre di più l’immagine come forma di comunicazione. E sempre più spesso sono scattate fotografie (la maggior parte inutili, come bicchieri di cocktail o piatti di cibo indefiniti) e realizzati brevi filmati (altrettanto inutili), che vengono postati, inviati ad amici e parenti, condivisi sui social network.
I sociologi sostengono che l’invio di una cartolina illustrata equivale a quello di un’immagine via telefonino o social network, perché entrambi rispondono all’esigenza di rinforzare la propria identità e soddisfano il desiderio di mantenere e consolidare la rete di relazioni sociali in cui si è inseriti. Sarà, ma se alla fine dell’estate o dopo le vacanze di Natale trovassimo una cartolina nella buca delle lettere sono certo che ci riempirebbe il cuore di gioia. Perché i saluti in “tempo reale”, comunque tu li faccia, restano freddi e non favoriscono la memoria storica di quelle vecchie fotografie “cartolinesche”, aggettivo inventato dai fotografi quando si vuole sminuire un’immagine e dire che il suo stile è banale e ripetitivo. Ah sì? Banali? Vogliamo parlare di quelle inviate con What’s Up o postate su Facebook? E poi bisogna anche tenere conto del danno “sociale urbanistico” che è in atto: le foto sui social network non si collezionano, non finiscono in un archivio, ma in un vero e proprio dimenticatoio. La troppa comunicazione e le troppe immagini sono controproducenti proprio per la funzione del ricordare. Le cartoline, invece, rivelavano un impegno unico ed esclusivo verso il destinatario, una piccola fatica evidenziata ancor di più se confrontata con la gelida, comoda e facile simultaneità della comunicazione a distanza tecnologicamente mediata. Da messaggera di valori, attenzioni, affetti, amori, la cartolina è inoltre un oggetto che una volta scritta incarna emozioni e diventa unico e prezioso. E in tal senso, se particolarmente importante, ha molte più probabilità di essere conservata rispetto a una e-mail o un sms.
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