Il cognome da solo è un marchioperché è il primo stilista diventare brande un “modo” di interpretare la vita. Elio Fiorucci,mancato giusto quattro estati fa quando aveva appena compiuto 80 anni, in tutta la sua vita non ha mai dimenticato il dogma del buon gusto e lo spirito democratico. L’immagine della sua moda si è affermato contraddicendo tutti i parametri del marketing, cioè non assumendo un marchio, un logo, come elemento centrale. Ogni manifesto, ogni sticker, ogni etichetta aveva un logo differente, originale, perché Fiorucci voleva far capire quanto la sua non fosse la classica azienda commerciale, bensì un’attività di vendita e spirituale– tesi rafforzata dalla coppia di angeli vittoriani che all’occorrenza indossano anche gli occhiali da sole– aspetti ai quali oggi siamo assuefatti ma che cinquant’anni fa erano parte di una rivoluzione culturale.
Fiorucci guardava i ragazzi per strada, afferrava la società nel profondo, ne intuiva la voglia di cambiamento: il suo stile – a prezzi moderati – regalava ai giovani l’anticonformismo e l’illusione di vivere sul serio l’immaginazione al potere. La sua forza è stato il gioco di rimandi dall’oggetto al significato e viceversa, ha stravolto la moda confezionando un jeans da donna spostando l’incrocio delle cuciture sotto il cavallo in modo da far esaltare il fondoschiena; ha collaborato con architetti e designer come Ettore Sottsas, Michele De Lucchi, Matteo Cibic, Alessandro Mendini, Andrea Branzi che arredano i suoi spazi; è stato tra i primi a credere nella street artfacendo esporre, all’interno dei suoi negozi, uno sconosciuto Jean Michel Basquiat e chiamando un giovane ragazzo, Keith Haring, a decorare i muri dello store di Milano. La sua filosofia e le sue creazioni sono poi arrivate in Giappone, in Sud America, negli Stati Uniti, ma i capi sono sempre restati alla portata di tutte le tasche perché, amava ripetere: «La moda, quella vera, viene sempre dalla strada».
Fiorucci e i suoi angioletti diventano delle vere icone pop internazionali: il negozio di New York è frequentato a lungo da Andy Warhol – che lo aveva scelto quale punto vendita del suo giornale Interview– e da tutte le star della discomusic, tanto che è citato nel brano You’re The Greatest Dancerdelle Sister Sledge dove il testo recita: «The best designers, heaven knows/Ooh, from his head down to his toes/Halston, Gucci, Fiorucci/ He looks like a still/That man is dressed to kill». La consacrazione avviene nel 1977 quando cura lo styling dell’inaugurazione dello Studio 54 di New York, discoteca simbolo di un periodo. Alla serata tutto il “jet set” internazionale indossa la T-Shirt con gli angioletti con gli occhi rivolti al cielo. Scandalo? Niente affatto, anzi: rompendo gli schemi, coniugando il sacro con il profano, provocando con il fetish e il bondage ma allo stesso tempo intenerendo con gli angeli e il cuore, Fiorucci lancia un messaggio d’amore, una visione positiva della vita che è recepita nel mondo. E nel 1900 lancia fonda un nuovo brand, Love Theraphy.
La sua vita non può essere ridotta solo a una collezione di vestiti. Di lui va ricordato il suo “lifestyle”, la sua filosofia, quel modo di vivere all’avanguardia, in anticipo sui tempi, un po’ controcorrente e anticonformista anche nel bel mezzo degli Anni di Piombo, quando nel nostro Paese la violenza dilaga, gli fa dire: «quello che stiamo vivendo è un momento storico di grande cambiamento sociale: i giovani pensano alla libertà e alla pace» e sui sacchetti del negozio e sulle magliette fa scrivere: «Guarda, forse accanto a te c’è un angelo».
Questa è cultura, cultura pop, ed Elio Fiorucci è stato uno dei massimi esponenti.
Tanti lo adoravano: Truman Capote, Bianca e Mick Jagger, Basquiat, Keith Haring, David Bowie, Andy Warhol, Madonna, Grace Jones, Bruce Springsteen, Vivian Westwood, Ettore Sottssas, per citarne alcuni. Pochi, qui a Milano, lo ricordano: basterebbe un gesto, intitolargli uno spazio, una strada, magari proprio Galleria Passerella dove nel 1967 aprì il suo primo negozio – alieno, rispetto alle boutique tradizionali.
Commenta per primo