Dal cazzotto nacque il Bacio

Finalmente qualcuno si è accorto di loro. E, come si fa con le cose importanti, vengono celebrati in una mostra. Stiamo parlando di loghi, o più comunemente “marchi”, semplici fregi, segni, disegni e immagini che hanno fatto non solo la storia dell’imprenditoria, ma anche quella d’Italia e che ci hanno accompagnato per tutto il Novecento, esposti a Castel Sant’Angelo, a Roma, all’interno della mostra Loghi d’Italia. Storie dell’arte di eccellere, fino al 25 gennaio. Alcuni loghi sono diventati famosi grazie a Carosello, alcuni per i testimonial, altri ancora per l’estrema creatività o un design particolarmente azzeccato, fatto sta che ciascuno di loro nasconde un segreto, sia esso industriale o personale, o una storia grazie alla quale l’oggetto o l’azienda, reclamizzata è stato trasformato in mito. La mostra, curata dall’architetto Cornelia Bujin per Innovarte, si propone come una narrazione, viva e interattiva, delle commistioni tra il mondo artistico-culturale e le principali aziende italiane, e abbraccia opere e i contributi artistici più disparati, dal lungometraggio di Bertolucci al documentario di Antonioni, dai Caroselli di Armando Testa agli interventi artistici di Wahrol e Dalì, dalle affiches di Depero, Dudovich e Carboni ai versi di D’Annunzio, Marinetti, Pasolini, dai progetti architettonici di Cucinella e Fuksas alle sculture di Palladino, senza dimenticare il design, con Sapper, Zanuso e Superstudio e molti altri. E così, visitando l’esposizione, si scopre che la “fortuna” della Buitoni dipende soprattutto da Federico Seneca, artista futurista che, nel 1929, s’inventò l’immagine del bambino estasiato davanti un piatto di pastina glutinata. Tre sono le sezioni che compongono la mostra: Storia di loghi, suddivisa in quattro aree tematiche, impresa e comunicazione, impresa e design, impresa e innovazione, impresa e arte; Storie di nomi, nel quale il mondo delle aziende italiane è raccontato attraverso le figure dei loro imprenditori, e Luoghi d’amore, dove l’attenzione si concentra in quei luoghi e territori nei quali si sono sviluppate le eccellenze del Made in Italy. A proposito d’amore, merita di essere raccontata la storia di com’è nato il Bacio Perugina: dietro al nome e al logo c’è una love story travagliata, che ha tra i protagonisti Luisa Sargenti e suo marito Annibale Spagnoli e la famiglia Buitoni. I coniugi Spagnoli, assieme ai due figli Maria e Aldo, nel 1907 erano proprietari della Perugina, piccola azienda dolciaria con quindici dipendenti. L’anno dopo entra in società anche Francesco Buitoni, che porta con sé il figlio Giovanni. Tutto procede bene fino all’arrivo della Guerra, periodo in cui Luisa si ritrova sola a mandare avanti l’azienda. Terminata la guerra Annibale, per contrasti con i Buitoni, lascia; la moglie no.

Dietro a questa scelta si cela la grande passione tra Luisa e Giovanni Buitoni, di 14 anni più giovane di lei; un legame celebrato dall’invenzione di Luisa, un cioccolatino tondeggiante, farcito con gianduia, granella e nocciola che in un primo tempo avrebbe dovuto chiamarsi “cazzotto” e che invece Giovanni, in onore alla donna amata, ribattezzò semplicemente “Bacio Perugina”. Poi chiamò Seneca, dicendogli che , per quel nuovo cioccolatino, voleva qualcosa di speciale. L’artista rielaborò così l’immagine de “Il bacio”, quadro di Francesco Hayez, su sfondo blu ed ebbe l’intuizione di inserire in ciascuna confezione del cioccolatino, il bigliettino con le frasi d’amore. E il Bacio Perugina è passato indenne attraverso la storia.

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