Siamo alla metà degli anni Ottanta e la Svizzera dichiara guerra al Giappone: sarà la guerra del tempo, una guerra a dir poco disperata per il piccolo paese, da sempre neutrale. Gli elvetici, infatti, cercando di difendersi dai giapponesi in un settore dove gli orientali li hanno sfidati e li stanno spodestando: quello degli orologi. In quegli anni l’oreficeria elvetica versa in una grave crisi, anche perché gli orologi continuano a essere realizzati alla vecchia maniera: l’aspetto è lussuoso, ma la produzione è troppo lenta e il costo dell’oggetto finale, tra manodopera e materiale, è alto. In tutto il mondo ormai, quindi anche nei cantoni elvetici, gli orologi giapponesi al quarzo cominciano a essere i più venduti. Sono sicuramente meno eleganti, il meccanismo è al quarzo, che è meno prestigioso di quello meccanico ma altrettanto preciso, e alla fine il prezzo al pubblico, paragonato agli orologi elvetici, è quasi irrisorio. Gli svizzeri, che negli orologi (e anche nel cioccolato) sono tradizionalisti quanto gli inglesi con il te, considerano il meccanismo al quarzo una moda passeggera, che non merita attenzione, che si sgonfierà quanto prima. Errore gravissimo. In pochi anni l’industria elvetica perde due terzi dei suoi addetti e altrettanta quota di mercato. A sentire maggiormente la crisi sono proprio i due colossi: la Ssih, nata dalla fusione di Omega e Tissot; e la Asuag, holding che unisce decine di marchi. Fondate negli anni Trenta, le aziende producono orologi meccanici di alta qualità ed entrambe, ai primi degli anni Ottanta, sono sull’orlo del fallimento.
Le banche creditrici affidano a un consulente aziendale di Zurigo, Nicolas G. Hayek, uno studio per capire come salvarsi dal disastro e, soprattutto, se è ancora possibile, prendendo anche in considerazione la vendita ai giapponesi dei marchi più famosi, mantenendo in Svizzera la sola fabbricazione degli orologi di lusso.
Pochi giorni dopo Hayek presenta il suo piano che consiste in due soli punti: fondere le due aziende, Asuag e Ssih, e realizzare orologi “popolari”, accessibili a tutti. Il piano viene approvato: nasce la SMH (SocietéSuisse de Microelectronique et d’Horlogerie che unisce le due grandi aziende malate) e contemporaneamente una task force di manager presenta un progetto che parte da un’idea semplicissima: movimenti al quarzo e produzione di massa, con il valore aggiunto di un design curato – magari affidato anche per la produzione in serie a veri e propri artisti – e con un prezzo davvero molto competitivo. Il nome? Semplice, immediato e internazionale: Swatch, acronimo di “swisswatch” e, meglio ancora, di “secondwatch”, per promuovere l’idea che i consumatori ne avrebbero comprato più di uno.
Il primo marzo 1983, viene così lanciato a ufficialmente a Zurigo l’ultima novità dell’industria degli orologi svizzeri, una scommessa che, se non fosse andata, avrebbe rischiato di fare dello Swatch uno degli ultimi orologi in assoluto.
Con il modello Classic (quello tutto trasparente) la Swatch invade i mercati di tutta Europa, prezzo imposto ovunque, in Italia è venduto a 50mila lire, e – soprattutto – diventa subito un fenomeno sociale. Il prezzo accessibile e il design innovativo, sono i due concetti che rivoluzionano l’uso dell’orologio che, grazie a Swatch, si trasforma in vero e proprio accessorio di moda. Sostenuti da una grande campagna pubblicitaria – circa un terzo del prezzo finale degli orologi va in pubblicità – gli Swatch diventano uno dei simboli degli anni Ottanta. Oltre che essere rivoluzionario, il modello della SMH cambia anche il modo di fare pubblicità degli orologi, che vengono presentati come un prodotto giovane, accessibile e di tendenza in campagne di advertising molto creative e aggressive. L’idea centrale per il suo successo è che l’orologio non è più un oggetto che serve solo per misurare il tempo, ma anche un modo per esprimere la propria personalità, con i suoi disegni sgargianti e i suoi colori, e non importa se non è prezioso e costa poco.
A proposito: visto il prezzo estremamente economico, molti acquirenti Swatch diventano anche i collezionisti e scatenano una vera e propria mania, una caccia all’oggetto unico; collezionismo che l’azienda foraggia immettendo sul mercato serie limitate e alcuni pezzi unici. La crescita delle vendite nei primi anni è impressionante: nel primo anno, il 1983, 1,1 milioni di orologi; nel 1986, oltre 12 milioni. Il 50milionesimo esemplare viene prodotto nel 1988.
Con gli anni la produzione si è arricchita e sono nati modelli sportivi (Scuba, Cronograph e Key che permette di caricare lo ski-pass) e art & fashion (alcuni pezzi sono firmati Keith Haring, Folon, Paloma Picasso), fino al lusso con il Tresor Magic, interamente al platino. Guerra del tempo vinta? Sì, a vedere i numeri (oltre 400 milioni di pezzi venduti nel mondo), ma la Smh guarda già al futuro: ora sono attesi Swatch che offrono la possibilità, inserendo una apposita Sim card GSM, di parlare ed inviare e-mail, ascoltare file Mp3 o addirittura scattare foto digitali. Per la cronaca, Hayek è morto nel 2010, a 82 anni, per un infarto che lo ha colpito nel quartier generale della Swatch a Biel. Su un quotidiano elvetico la notizia riportava questo titolo: «È morto l’uomo che ha salvato l’industria degli orologi svizzera».
Io ero un semplice ragazzo che alle prime armi comprerai uno Swatch snowite , che poi un anno dopo regalai ad una ragazza che frequentavo, l’amore dopo un po’ fini, ma lo Swatch non torno da me…. Purtroppo. Da allora , come potevo , ne acquistavo uno, la mia passione per il piccolo Swatch, ancora muove in me piacere di averne uno nuovo, passando la stessa passione per mia figlia. Che dire di