
Nei primi mesi del 1965 i giornali continuano a sparare inchiostro sul nuovo movimento. «Attenzione: si segnalano gruppi di nullafacenti a Firenze, a Milano, a Torino». E tutte le volte che si parla di giovani, il termine “capelloni” è associato a quello di ladri, spacciatori e teppisti. Molti di questi articoli sono dedicati ad un fenomeno nuovo che si manifesta in quei mesi e che rappresenta un indicatore di un profondo disagio che investe la condizione giovanile, si tratta delle fughe da casa di giovani adolescenti, minorenni che se ne vanno per protestare contro la loro famiglia, suggestionati anche dalla cultura del viaggio e del nomadismo.Nel 1966 si forma un vero e proprio movimento beat, dotato di un minimo di organizzazione, tra Torino e Milano, che promuove iniziative di protesta sociale e di lotta. Portano i capelli lunghi, indossano camicie e pantaloni colorati, viaggiano in autostop, ascoltano rock e fanno sesso fuori dal matrimonio: lontano dalla consapevolezza politica dei pari età americani, i ventenni italiani combattono per diritti molto più basilari. Il 17 luglio, a Torino i beatniks organizzano la Marcia per la pace universale, che si conclude con incidenti e arresti di dimostranti da parte della polizia. Il 12 ottobre a Milano la “zia Polly” (così viene chiamata la polizia) arresta diciannove ragazzi con l’accusa di aver scritto slogan pacifisti sui muri. Con questo tipo di iniziative i beats o capelloni tendono a marcare il loro impegno sociale, distinguendosi da quella che altrimenti rischia di essere solo una moda, un modo di vestire e di atteggiarsi. A Milano i beats si ritrovano in Piazza Duomo e alla stazione della metropolitana di Cordusio; un gruppo affitta un negozio in viale Montenero e lo trasforma in un luogo di incontro e di ospitalità per hippie e beats di passaggio nella città. Il 12 novembre stampano a ciclostile, con l’aiuto degli anarchici, tra i quali Giuseppe Pinelli, il primo numero della rivista Mondo Beat (ne usciranno sette numeri fino al 31 luglio 1967). Le ottocento copie della tiratura iniziale vengono date ai ragazzi che si trattengono in piazza del Duomo e alla stazione Cordusio perché le diffondano nelle città italiane durante i loro viaggi.
Nei servizi sono presenti le influenze del movimento hippies americano, provos olandese e della disobbedienza civile anglosassone, c’è tutto quindi: pacifismo e antimilitarismo (alla rivista collabora anche Onda verde di Andrea Valcarenghi, organizzazione costituita da giovani di estrazione sia borghese sia proletaria famosa per le sue manifestazioni antimilitariste) richiesta di riconoscimento dei diritti civili quali divorzio, pillola, aborto, libero amore, critica della famiglia, della scuola e di tutte le istituzioni in genere per il loro autoritarismo, critica della politica partitica, esaltazione della partecipazione diretta e non delegata, proposta di esperienze di vita comunitaria e di gruppo, esaltazione della cultura del viaggio, denuncia della società capitalistica, del consumismo. E ci si avvicina al misticismo e alle filosofie orientali e partire da sé, dal proprio vissuto, come si dirà in seguito, cambiare prima di tutto sé stessi se si vuole davvero cambiare la società.
Il 26 novembre 1966 il movimento beat milanese organizza manifestazioni pubbliche contro il militarismo per la non violenza e il pacifismo e, sempre a Milano, il 18 dicembre centinaia di giovani chiedono di entrare in questura con le braccia alzate in segno di resa per poter armare la polizia con un fiore: vengono caricati dagli agenti e si registrano cinquanta fermi. L’anno dopo, a marzo, redattori e sostenitori di Mondo Beat fanno lo sciopero della fame per protestare contro i fermi e gli arresti dei giovani che vendono il giornale per le vie di Milano e nelle altre città, e viene organizzato un sit-in: in oltre duecento bloccano il traffico sedendosi per terra e innalzando cartelli con sopra scritto “Basta coi fogli di via”, “Non schedate le nostre coscienze”, “Meno santi più preservativi”, “I capelli lunghi non sono anticostituzionali”, “Meglio un beat oggi che un soldato domani”.
Commenta per primo