In Italia, all’inizio degli anni Sessanta i juke-box sono quindicimila; la radio dedica ai giovani un programma specifico dal titolo originale… La musica dei giovani; tv e giornali fanno serie inchieste che hanno per unico tema il mondo dei ragazzi. È nelle grandi città che si registra la prima vera svolta sociale e culturale del mondo giovanile: i ragazzi scappano di casa; si ribellano agli atteggiamenti autoritari di scuole e famiglie; si fanno crescere i capelli; indossano i blue-jeans.
Il regno incontrastato dei capelloni e del beat è il Piper Club di Roma in via Tagliamento, un locale totalmente nuovo nella concezione dello spazio di sala da ballo, con una grande pista centrale dalla quale si ergono pedane luminose e, su un lato, un palcoscenico. Il Piper viene inaugurato il 17 febbraio del 1965: è in assoluto il primo locale italiano ad offre musica beat dal vivo, happening e performance: mitica quella di Mario Schifano con le Stelle di Schifano (uno scimmiottamento di Andy Warhol e dei Velvet Underground), lo spettacolo comincia alle 22 e termina alle 5 del mattino! Sul palco del Piper nascono i cantanti beat italiani (Patty Pravo, Caterina Caselli, Rokes, Giganti) e ci passano gruppi del calibro dei Procol Harum e dei Pink Floyd. Tutto fila liscio fino al 1967, quando la polizia proibisce l’apertura pomeridiana del locale a causa delle lamentele dei genitori i cui figli trascurano lo studio per il ballo e la Chiesa, per non essere da meno, denuncia i pericoli dello “shake”, il ballo più in voga del momento: i movimenti sono provocanti e la penombra delle discoteche insidiose.
Alla radio e alla tv le trasmissioni musicali hanno sempre più spazio; sono pubblicate due nuove riviste di costume: Ciao amici, pubblicato nel 1963, Big, appare nelle edicole nel 1965, e Ciao 2001, che diventa il più venduto e si attesterà su una tiratura media di quattrocento-cinquecentomila copie. Tutte e tre le testate si occupano dei nuovi cantanti beat italiani, con servizi fotografici, notizie e informazioni, e con riferimenti obbligati al panorama internazionale, soprattutto per i Beatles e i Rolling Stones. Ma, oltre alla musica, nella rubrica delle lettere e in alcuni servizi specifici, prevalgono tematiche tipiche del malessere esistenziale e sociale che connotano la condizione giovanile dell’epoca che i nuovi gruppi cercano di interpretare nelle loro canzoni. In breve tempo, anche in Italia la musica diventa strumento di comunicazione politico-culturale, introduce un nuovo modo di atteggiarsi, di vestirsi, di pensare.
I giornali “tradizionali”, con inchieste piene di luoghi comuni e di facile perbenismo, cominciano a dare l’allarme sul fenomeno beat-capelloni-hippie e nel 1965 siamo in piena “emergenza giovani”. A Roma, in piazza di Spagna un gruppo di ragazzi, soprattutto francesi, inglesi e tedeschi, dopo aver vagabondato per varie città europee, si fermano nella capitale riunendosi sulla famosa scalinata. Discutono, dormono sugli scalini, suonano la chitarra. Indossano blue jeans aderenti, magliette colorate, scarponi col tacco alto e giubbotti fantasiosi, portano i capelli lunghi. Per alcuni mesi non accade nulla e, al gruppo, si uniscono anche hippie nostrani. Un giorno di novembre un ragazzo e un militare vengono alle mani: scoppia una rissa, interviene la polizia, tutti gli stranieri vengono fermati e rispediti al loro paese col foglio di via. L’episodio è ripreso da tutta la stampa nazionale. In un articolo del Corriere della Sera si legge: «Sono brutti […] infestano la scalinata di Trinità dei monti […] tipi di apparente sesso maschile che portano i capelli lunghi quasi come le donne […] secondo una moda mutuata dai Beatles, i quattro giovanotti che l’Inghilterra anziché premiare, avrebbe dovuto […] esiliare in Patagonia […].
Essi, dicono, esprimono il tormento della bomba e bisognerebbe buttargliela […]. D’ora in avanti verrà esercitata una stretta sorveglianza sulle scalinate e alle frontiere […] Non si entra in Italia coi capelli lunghi». L’unica a intervenire in loro difesa, in quei giorni, è la scrittrice Elsa Morante in una lettera che invia a La Stampa di Torino «Non vedo nessun oltraggio nella foggia dei capelli lunghi e del vestiario dimesso […] foggia, la suddetta, già confortata da innumerevoli esempi illustri, tra i quali, per citarne solo due, Dante Alighieri e Giuseppe Garibaldi».
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