La crescita verticale di radio e televisioni private da metà degli anni Settanta ha fatto sì che gli spazi pubblicitari siano aumentati a ritmo vertiginoso, anno dopo anno. Ogni mese in edicola, poi, compaiono nuovi periodici, specializzati e non, capaci di attrarre nuovi inserzionisti. Ed è in questa atmosfera che matura la decisione della Rai di mandare in pensione Carosello, la mitica striscia pubblicitaria che alle 20,30 entra nelle case di tutti gli italiani tutte le sere initerrottamente dal 1957, tranne una sospensione di tre giorni nel dicembre del 1969, in occasione della strage di piazza Fontana. L’ultimo Carosello viene trasmesso il primo gennaio 1976, con una Raffaella Carrà commossa (sembra veramente) che recita l’addio al programma brindando con un bicchiere di Stock 84 e ringraziando tutti quelli che vi hanno lavorato, pubblicitari, attori, registi. Da quel giorno la pubblicità in televisione non è più la stessa: arrivano gli spot che vengono disseminati durante tutto l’arco della giornata, con un linguaggio sicuramente più penetrante, ma molto più prepotente e, a volte, anche volgare. Su Carosello, infatti, vigevano limiti pubblicitari che imponevano che su 2 minuti e 15 secondi di ogni striscia, la reclame del prodotto durasse al massimo trentacinque secondi: il famoso codino, che faceva impazzire i creativi impegnati a trovare il modo di fondere armoniosamente scenetta e richiamo pubblicitario, rispettando i vincoli di una censura che vietava di usare una certa terminologia.
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