A metà dagli anni Sessanta, nelle grandi città italiane, si registra la prima svolta sociale e culturale del mondo giovanile: i ragazzi si fanno crescere i capelli, non portano più la cravatta, indossano i blue jeans, si ribellano agli atteggiamenti autoritari sia dei genitori sia degli insegnanti e, non sono pochi, scappano di casa, chi per seguire un proprio ideale chi, semplicemente, in cerca di avventure. In questo clima, a Roma, il 17 febbraio 1965, nasce il Piper Club, primo locale pensato e realizzato unicamente per i giovani grazie ad Alberico Crocetta, avvocato e imprenditore amico di Renzo Arbore, Giancarlo Bornigia, impresario. È un locale totalmente nuovo nella concezione dello spazio di sala da ballo: la pista centrale, illuminata da 350 luci, contiene oltre 100 persone (è la più grande d’Italia) ed è spezzata da pedane luminose; la scenografia è ideata dall’artista Claudio Cintoli, un’opera pop-art dal titolo Il giardino di Ursula composta da una sequenza di gigantografie – tra le quali due labbra sorridenti – e sculture realizzate con materiali di recupero; sui muri dietro al palco si alternano opere di Andy Wharol, Manzoni, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Robert Rauschenberg.
Ma la vera rivoluzione è che il Piper è il primo locale che offre la musica beat e rock da vivo in un momento in cui si può ballare soltanto davanti al juke box, visto che nei locali da ballo si suona soltanto il liscio. E il successo è immediato: il piccolo palcoscenico di via Tagliamento diventa tappa obbligatoria per i gruppi del momento. Qui sono cresciute Patty Pravo, la Ragazza del Piper (http://www.youtube.com/watch?v=wQ5EWtUZeqY), e Caterina Caselli; i Giganti, i Camaleonti e gli inglesi Rokes, guidati da Shel Shapiro, e i Primitives di Mal hanno mosso in primi passi per la conquista del mercato discografico italiano. Ci sono poi i Ragazzi del Piper (cubisti ante litteram) tra i quali figurano Mita Medici, Mia Martini, Renato Zero, Loredana Bertè. In brevissimo tempo il Piper diventa sempre più un locale di tendenza: suonano gruppi del calibro dei Procol Harum, Who, Pink Floyd, Byrds e tra il pubblico si mischiano star come Sylvie Vartan, Renzo Arbore, Gianni Boncompagni e Raffaella Carrà, Alberto Bevilacqua, Franco Interlenghi e Antonella Lualdi, Mita Medici, Christian De Sica, Rudolph Nureyev. Ci si veste e si balla come si vuole, senza inibizioni e limiti. Il Piper diventa un fenomeno di costume, tutti ne parlano e tutti ci vogliono andare almeno una volta: fuori Via Tagliamento la fila si forma sin dalle otto di sera, nonostante il locale apra alle 22. Tutto fila più o meno liscio fino al 1967, quando la polizia proibisce l’apertura al pomeriggio del locale a causa delle lamentele dei genitori, i cui figli trascurano lo studio per il ballo. Poco dopo ci si mette anche la chiesa, che denuncia i pericoli dello “shake”, il ballo più in voga del momento, perché i movimenti sono provocanti, soprattutto se svolto nell’insidia della penombra del locale.Il periodo d’oro termina verso la fine del decennio, ma il Piper sopravvive al tempo e alle mode. Dal beat al pop, dal jazz al rock: sul palco salgono Lucio Battisti accompagnato dalla Formula Tre, David Bowie, i Genesis, Duke Ellington e i Nirvana, James Taylor Quartet e Mario Biondi. E ancora oggi (www.piper.it) continua a sviluppare il suo progetto artistico.
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