Enrico Berlinguer, storico segretario del Pci, viene colto da un ictus cerebrale il 7 giugno 1984, durante un comizio a Padova in occasione delle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. Muore quattro giorni dopo. Ai funerali, che si svolgono a Roma in un assolato e caldissimo pomeriggio, partecipano poco meno di due milioni persone. Alla camera ardente, a rendere omaggio a un uomo politico nemico ma di cui stimava l’onestà e la correttezza, si presenta anche il segretario del Movimento sociale Giorgio Almirante. Alle elezioni, la settimana dopo, il Pci raggiunge il 33,3% e per la prima e unica volta sorpassa la Dc che ottiene il 33%. A fine mese il comitato centrale del partito elegge segretario Alessandro Natta che, nel suo discorso di investitura, chiarisce che ha una concezione meno solenne e più laica del ruolo del segretario. È un momento in cui il Partito si trova a fare i conti con una situazione generale in profondo movimento: sul fronte nazionale deve fare i conti con un continuo calo degli iscritti, sconfitte elettorali, la secca sconfitta al referendum sulla scala mobile voluto da Berlinguer e le crisi di molte giunte locali, amministrate col Psi.
Sul piano internazionale, c’è Michail Gorbaciov – segretario del Pcus dall’85 – che dà inizio a una fase di distensione, riprende il dialogo con gli Usa e ritira le truppe dall’Afghanistan. Natta cerca così di portare il partito verso un rinnovamento: la spinta verso una svolta viene dalla sconfitta alle elezioni politiche del giugno 1987, indette dopo la caduta del governo Craxi: il Pci perde 3 punti scendendo al 26,6%, la Dc recupera e il Psi continua ad avanzare attestandosi al 14,3%. In queste elezioni, poi, arrivano i primi segnali di un’avversione verso i partiti tradizionali: entrano in Parlamento la Lista Verde e la Lega Lombarda, futura Lega Nord, di Umberto Bossi. Natta rassegna subito le dimissioni ma la direzione le respinge. Lui accetta di restare ma chiede un nuovo vicesegretario, Achille Occhetto. La proposta passa, ma a fatica: Napolitano, la componente “migliorista” non sono d’accordo, favorevole sono i “berlingueriani” e la sinistra di Ingrao. Così al Comitato centrale, il 27 giugno 1987, Occhetto viene eletto vicesegretario con 194 voti a favore, 41 contrari, 22 astenuti. In segreteria entrano anche Massimo D’Alema, Piero Fassino, Gianni Pellicani, Claudio Petruccioli e Livia Turco.
Non passa neanche un anno e per Occhetto si aprono le porte. Il 30 aprile 1988, durante un comizio a Gubbio, Natta è colto da un malore. I medici consigliano al segretario di sospendere la propria attività e, dopo un nuovo turno elettorale che conferma il trend negativo del Pci, Natta rassegna le dimissione «per senso del dovere – scrive della lettera indirizzata al comitato centrale – e nella persuasione di agire nell’interesse generale del nostro partito». Il Comitato centrale ratifica così – questa volta ritrovando una quasi totale compattezza – il passaggio della segreteria a Occhetto e avvia un processo di verifica e chiarimenti in vista del congresso l’anno successivo. Al congresso di Roma, nel marzo del 1989, Occhetto si presenta con una relazione coraggiosa dove non sono pochi i riferimenti a Gorbaciov: parla di volere aprire una nuova fase ad «alternative programmatiche», il suo obiettivo è quello di far uscire il Pci dall’isolamento in cui è stato messo da Dc e Psi. E, a proposito di un eventuale cambiamento del nome del partito, dice: «Il nostro è stato ed è un nome glorioso che va rispettato». Ma nel nuovo statuto che approvato dal congresso cominciano a non esserci più riferimenti ai principi del socialismo e dell’internazionalismo del movimento operaio. Occhetto è eletto segretario con solo due voti contrari; per favorire il rinnovamento si dimettono dalla direzione leader storici come Pietro Ingrao, Luciano Lama e Paolo Bufalini. Alle elezioni europee del giugno 1989 il Pci inverte la tendenza e, rispetto alle Politiche, guadagna qualche punto. Il quadro politico però rimane invariato: il Governo è formato da una coalizione di pentapartito presieduta da Andreotti; il Pci è all’opposizione e crea un “governo ombra” presieduto dallo stesso Occhetto.
Ma, nella seconda metà dell’89, la situazione internazionale cambia tempi rapidissimi e il neo segretario è costretto a inseguirla: a est è iniziata una sorta di rivoluzione democratica (Gorbaciov miete successi internazionali con la sua Perestroijka, la politica trasparente; in Polonia si sono tenute le prime elezioni “libere”; il governo ungherese ha aperto le frontiere) mentre in Cina, dal mese di aprile, migliaia giovani studenti hanno occupato Tienanmen chiedendo democrazia e libertà. Alle richieste, i dirigenti del Partito comunista cinese rispondono con una legge marziale che provoca migliaia di morti, feriti e arresti. Questo contesto non fa che accelerare il processo di evoluzione del “nuovo Pci” : Occhetto compie tagli drastici e definitivi anche con la “tradizione”: per prima cosa invia alle autorità cinesi dove esprime «lo sdegno e la durissima condanna mia e di tutti i comunisti italiani» e dove sottolinea che «non c’è nulla in comune fra noi e chi si rende responsabile di crimini come quelli che stanno avvenendo in Cina»; poi avvia la riabilitazione delle vittime dei processi staliniani. Tutto l’Est europeo è in subbuglio, si capisce che qualcosa sta cambiando davvero. E il 9 novembre il muro che divide la città di Berlino dal 1961 è preso d’assalto e abbattuto dalla popolazione che manifesta per la propria libertà. Un’era della storia contemporanea è finita. Pochi giorni dopo, durante un incontro a Bologna con i partigiani per commemorare l’anniversario della battaglia della Bolognina, Occhetto dichiara che quanto da quanto sta accadendo nel mondo bisogna «trarre l’incitamento a non continuare su vecchie strade ma ad inventarne di nuove per unificare le forze del progresso». La vecchia guardia, e molti militanti, non digeriscono le parole del segretario: il nome non si tocca, col passato non si rompe; ma a dar fastidio è soprattutto il modo in cui è stata annunciata la “svolta”: senza nessun confronto, nessun dibattito. E così il 14 novembre 1989 è convocata la Direzione del partito. Occhetto mette subito in chiaro che occorre prendere coscienza di ciò che è accaduto a Berlino «lì si è sgretolato un mondo» e che la “svolta” non si limita al cambiamento del nome «ma dev’essere uno stravolgimento generale di quello che è stato, fino ad oggi, il Pci». E conclude: «bisogna dar vita a una formazione politica nuova, capace di raccogliere ed esprimere le grandi potenzialità della sinistra» proponendo di procedere con una «fase costituente» che darà vita alla nuova formazione politica». E come si chiamerà? Chiedono dalla platea. «Prima la “cosa”, poi il nome» risponde il segretario.
Dodici membri su 52 sono contrari al progetto del segretario. La svolta, però, viene ratificata dal Comitato centrale a fine novembre dove, però, si registra una netta spaccatura. Viene indetto un congresso straordinario da tenersi in primavera (dal 7 all’11 marzo a Bologna) dove si arriva con tre mozioni: la prima è quella di Occhetto; la seconda – che porta la firma, tra gli altri, di Ingrao, Natta, Tortorella, Angius, sostiene che il partito «può trasformarsi senza rinnegare se stesso»; la terza, presentata da Armando Cossutta, afferma l’esatto contrario di quanto sostiene Occhetto e sostiene «non lo scioglimento ma il rafforzamento e il rinnovamento di un partito comunista di lotta e di governo». Le mozioni presentate ottengono rispettivamente il 66,9%; il 29,7% e il 3,4% dei voti dei delegati e Occhetto è eletto segretario – a scrutinio segreto – con 213 voti, 71 le astensioni e 23 i contrari. L’ultimo congresso del Pci si svolge a Rimini il 30 gennaio del 1991: il Pds nasce con 807 voti a favore, 75 contrari e 49 astenuti. La componente guidata da Cossutta partecipa solo alla prima parte del congresso e non a quella costitutiva del nuovo partito: annuncia la decisione di non entrare nel Pds e dà vita al Partito della Rifondazione comunista. «È Occhetto che si separa dal Pci – dichiara – e nessuno può impedirmi di restare comunista, di pensare e agire da comunista».
Commenta per primo