Il libro dedicato agli anni Settanta, che ho scritto tra il 2003 e il 2004, non è un’operazione nostalgia, né una sorta di ‘il meglio di…’, o ‘Le 100 cose per cui è valsala pena di vivere…’. È semplicemente un libro che racconta la storia di quegli anni, che definirei un’opera di archeologia culturale e giornalistica: perché quei libri, quegli oggetti, quelle canzoni, quei film hanno qualcosa da dire anche oggi, a trent’anni di distanza. Oggi più che mai, capita sempre più spesso di guardare indietro, forse per cercare un ragionamento o un senso a ciò che si sta facendo oppure per trovare la forza di uscire dall’involucro di ovatta in cui ci hanno infilato. Il libro si può leggere anche come una visita di un museo, dove via via vengono aperte alcune stanze (politica, cultura, cronaca). Un museo aperto non solo per ‘noi’ che abbiamo vissuto il decennio lungo del secolo breve, e che forse siamo un po’ troppo nostalgici (io per primo), ma soprattutto per chi i Settanta gli ha solo sentiti raccontare. E che vorrebbe riviverli. I Settanta, sono stati anni di cambiamenti nel lavoro, nella politica, nei rapporti umani, nella cultura, cambiamenti ‘gridati’ con fierezza e senza paura, sono stati anni in cui non c’è mai stato un revival, in cui la parola ‘riflusso’ veniva bandita. Ed è proprio in questo decennio che si è imparato a vivere con la ‘crisi’. Tutto era in crisi, ma niente finiva. Anzi, nasceva. Sono nate le targhe alterne e le domeniche a piedi, le radio e le tv private; i raduni musicali, la maggiore età a 18 anni; il quotidiano la Repubblica; le elezioni amministrative regionali e quelle europee, i gruppi extraparlamentari, i collettivi, gli scontri di piazza, il femminismo, le case occupate… Insomma, a me non è mai importato se i miei sogni, se la mia fantasia non è andata al potere… perché le emozioni di quegli anni non me la potrà mai togliere nessuno.
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