Guerre, lotte e disimpegno tra canzoni e canzonette (2a parte)

Alla fine della seconda guerra mondiale si diffusero rapidamente tutte le mode musicali di origine straniera ostacolate negli anni precedenti dal regime. Per contrastare questa tendenza, e favorire il ritorno alla canzone melodica all’italiana, nel 1951 nasce il Festival di Sanremo, annunciato come “una nuova iniziativa volta a valorizzare la canzone italiana”. I venti brani in gara raccontano un’Italia del tutto ripiegata nel privato: dodici trattano storie o temi d’amore e magnificano bellezze paesaggistiche; tre sono incentrati sulla nostalgia del passato o sulla critica dei tempi moderni; due raccontano favole per bambini. Nulla di nuovo, dunque, tanto che dopo il Festival il Radiocorriere titolerà: «Il mondo cambia, le canzoni no». Qualcosa cambiò nel 1958, quando Domenico Modugno sul palcoscenico di Sanremo, spalancò le braccia e fece cantare milioni di italiani in un coro liberatorio. La canzone, Nel blu dipinto di blu, che vinse il Festival e vendette 32 milioni di copie, parla di un uomo che sogna di volare nel cielo infinito. Un sogno di libertà, sottolineato da Modugno quando, anziché portarsi la mano al cuore come di consuetudine, le aprì al grido di «Volareeee, oh oh…». L’anno dopo, sempre a Sanremo, si registrò il primo caso di censura: la vittima è Tua, cantata da Julia De Palma. Sotto accuse sono i versi «Tua, sulla bocca tua, per sognare in due per morir così, finalmente tua, così». La sera dopo, invece di “sulla bocca tua”, la De Palma cantò “ogni istante tua”. Per la cronaca si piazzò al 4° posto e il disco, pur trasmesso pochissimo, vendette migliaia di copie, segno che per gli italiani il sesso cominciava a non rappresentare un tabù.

Negli anni Sessanta la canzone italiana comincia a dividersi in più filoni. Quello “cantautorale” che cominciò a scrivere testi incentrati sui temi sociali (Fabrizio De Andrè, Luigi Tenco, Enzo Jannacci tra i primi); quello “balneare” nato sul boom delle prime vacanze al mare (con canzoni come Abbronzatissima; Con le pinne il fucile e gli occhiali; Stessa spiaggia stesso mare); quello “politico” nato sulla scia del Sessantotto e che ha in Contessa di Paolo Pietrangeli il suo esempio più significativo («compagni, dai campi e dalle officine/prendete la falce, portate il martello/scendete giù in piazza, picchiate con quello/scendete giù in piazza, affossate il sistema») e quello beat che, oltre a imitare lo stile dei gruppi stranieri e a tradurre i testi delle loro hit, sviluppò uno stile originale con un certo impegno sociale, come nel caso di Proposta dei Giganti, inno pacifista grazie al refrain «Mettete dei fiori nei vostri cannoni», o ancora È la pioggia che va scritta da Mogol per i Rokes nel 1967, che annuncia « Il mondo ormai sta cambiando
e cambierà di più… … Ma noi che stiamo correndo
avanzeremo di più».

La musica leggera, visto la grande popolarità, diventò sempre di più una cosa seria la politica tornò ad occuparsene. Ci fu un’interrogazione parlamentare su C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, che Gianni Morandi avrebbe dovuto cantare in tv, per via del verso «mi han detto vai nel Vietnam e spara ai Vietcong» accusato di criticare “la politica estera di un paese amico come gli Stati Uniti”. Migliacci, autore del testo, si rifiutò di storpiare il pezzo e suggerì a Morandi di cantare, proprio per marcare l’avvenuta censura «mi han detto vai nel tatatà e spara ai tatatà», cosa che il cantante fece. (2- continua)

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