Assalto al cielo a colpi di note nell’Italia degli anni Settanta
Attraverso musiche, filmati, fotografie, testimonianza scritte, il reading descrive l’impatto e il significato che la politica ha avuto sulla canzone d’autore tra la metà degli anni Sessanta e la fine dei Settanta. Un momento chiave per il Paese, dove esigenze ed emergenze che si esprimono nella società trovano formidabile coincidenza con la musica sulla quale, come fosse la superficie di un fiume, viaggiano i sogni di una generazione. Mentre l’industria discografica preme sul pop, una nuova generazione di cantautori e di gruppi rock sono più liberi di esprimersi. I giovani comprano i dischi a 33 giri che diventano oggetti di culto: conservati come preziosi e ascoltati – in gruppo o da soli – decine e decine di volte in una giornata, imparando a memoria le canzoni. Così la formazione politica passa anche dai testi e dalla musica che, in quegli anni, è davvero poco leggera. È diventata una cosa seria.
Il modo di scrivere canzoni cambia completamente. Cantanti e musicisti, invece di passare ore e ore in sala prove cercando di vestire di significati musica e testi, discutono a casa o nei circoli con l’obiettivo di mettere a fuoco il senso di quello che vogliono trasmettere, tenendo sempre presente linguaggi, problematiche e speranze dei movimenti giovanili di quel periodo.
Dal 1965 al 1980 si è assistito a una fortissima presenza di artisti, e di conseguenza di produzioni musicali, politici e militanti. Con la fine degli anni Settanta, però la situazione cambia radicalmente: seguendo la de-politicizzazione della società italiana e la stanchezza per una mobilitazione permanente emergono rabbia e frustrazione per aver mancato gli obiettivi, e la musica si rifugia nel qualunquismo e nell’antipolitica.
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